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Bocca della verità, la leggenda romana

- Giugno 29, 2020

Vivo a Roma dal 1995 e una delle prime cose che sono andata a vedere di questa città è proprio la Bocca della Verità.

La leggenda romana che la riguarda è molto antica. La scultura risale al I secolo a.C. ed ha la tipica forma di medaglione. Possiede un diametro di quasi 2 metri e pesa circa 1300 kg.

La tradizione leggendaria collegata a questa scultura non nasce tanto per le sue dimensioni possenti o le caratteristiche fisiche. La tradizione nasce per il valore simbolico fin dai tempi antichi attribuitole.

Gli antichi Romani infatti ritenevano che la Bocca della Verità fosse in grado di vaticinare profezie. O di indurre un possibile bugiardo a dire tutta la verità.

Caratteristiche della scultura e simboli

La leggenda risale a tempi antichissimi ed è nata anche grazie alle particolari fattezze della scultura, che somiglia a un enorme medaglione. Oltre a questo, raffigura una specie di fauno.

Quest’ultimo, secondo alcuni esperti, potrebbe essere collegato al Dio Portuno. Ed effettivamente, vicino alla zona in cui oggi è esposta la Bocca della Verità, sorgeva un Tempio a lui dedicato.

Tempio di Portuno, fonte

Questa si trova attualmente nel pronao della Chiesa di Santa Maria in Cosmedin. Ogni giorno attira numerosi turisti, che provano ad infilare la mano nella sua bocca.

La tradizione antica, infatti, riteneva che se si mettevano le dita all’interno dell’apertura, chiunque avrebbe risposto in modo sincero a qualsiasi domanda. In caso contrario la bocca avrebbe morso il malcapitato.

La leggenda più famosa sostiene che tutte le donne sospette traditrici, soprattutto dell’amore coniugale, venissero sottoposte alla prova della “Bocca della Verità”.

Le poverine erano costrette ad infilare la mano all’interno della scultura e qualcuno le pungeva con aghi fino a che non dicevano la verità.

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Sulla scia di questo modus operandi c’è proprio la vicenda di un’adultera: l’unica che è stata in grado di ingannare la Bocca della Verità.

La leggenda della Bocca della Verità romana: ecco cosa narra la storia

Si narra che una traditrice, per continuare a vedersi con l’amante, escogitò un piano geniale.

La sua storia iniziò a causa della indiscrezione di alcuni vicini (un particolare che non sembra essere mutato nel corso dei secoli n.d.r.). Notarono che un uomo sconosciuto, il suo amante, entrava ogni giorno in casa sua. Approfittava dell’assenza del marito, partito per lavoro.

Una volta che quest’ultimo tornò, i vicini pettegoli gli svelarono tutto e l’uomo decise di chiedere spiegazioni alla propria moglie. Per tutta risposta, la donna scoppiò a piangere senza rivelare nulla, ma il marito decise di sottoporla alla prova della verità. Così le fece mettere, davanti a tutti i conoscenti, la mano nel grande medaglione romano.

Prima di sottoporsi a tale giudizio però, un apparentemente folle giovane intervenne. Prese l’adultera, l’abbracciò e le rubò un bacio davanti a tutto il popolo, che ovviamente rimase incredulo. Poi il “ladro di baci” fuggì via senza dare spiegazioni. A quel punto la traditrice mise tranquillamente la mano nella Bocca della Verità, rivelando che nessuno l’aveva mai baciata. Tranne suo marito e quel giovane matto che era appena scappato.

In tal modo, grazie all’acuto piano e fingendo che il suo (effettivo) amante fosse pazzo, la donna non fu punta dagli spilli. Tanto meno fu morsa e poté così ingannare il medaglione.

Vi lascio la sequenza di immagini tratte da Vacanze Romane (1953), testimonianza della storicità della Bocca della Verità anche nelle pellicole cinematografiche.

– Postilla –

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Le immagini presenti in questo articolo sono tratte da Pinterest. Laddove qualcuno dovesse ritenere violato il proprio copyright, basterà contattarmi e provvederò a rimuovere l’immagine o ad attribuire (meglio) i credits.

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Sono nata nel '77, Avvocato e scrittrice. Appassionata di arte e musica, di letteratura e retorica, di storia e di filosofia, faccio della creatività lo svago dalle mie passioni. Amante delle parole in ogni loro forma, scritta e non scritta, mi piace scrivere perché, citando Cesare Pavese, riunisce le due gioie: parlare da solo e parlare ad una folla (Cesare Pavese, 4 maggio 1946).

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